CAN "TAGO MAGO"
Figli della scuola di Karl-Heinz Stockhausen, i Can si formano nel 1966 in Germania grazie all'incontro di Holger Czuckay e di Hildegard "Irmin" Schmidt. Reduce da una adolescenza passata in Spagna per suonare la batteria in ambienti jazz, torna in patria anche Jaki Liebezeit, appassionato della concréte musique. A loro si unisce anche il giovane Michael "Miki" Karoli, chitarrista fantasioso seppur privo ancora di una tecnica collaudata (curiosamente, Liebezeit e Karoli sono proprio fratello e marito delle due ragazze raffigurate sulla copertina di "Country Life" dei Roxy Music). Al canto, i Can inizialmente recluteranno il sudamericano Malcom Mooney, per poi sostituirlo con il giapponese Kenji "Damo" Suzuki.
Dopo "Monster Movie" e "Soundtrack" i Can decidono di abbandonare la psichedelia "confusa" che aveva caratterizzato i loro primi lavori per coronare il loro sogno di una musica d'avanguardia, forte di improvvisazioni libere stile free-jazz. Con "Tago Mago", Czuckay e soci realizzeranno infatti la prima opera all'insegna del kraut-rock, la corrente avanguardistica nata in Germania con esponenti quali Cluster, Amon Duul, Popul Vuh e tanti altri.
Oltremodo presente l'influenza dei Velvet Underground in questa opera, che vedrà la luce solo nel 1971. Nel vinile uscì come un doppio dalla durata insolitamente lunga. Si comincia con "Paperhouse", folk post-industriale eseguito con chitarra pulita, dal ritmo struggente, con il cantato eccentrico di Damo Suzuki che calca una linea musicale sediziosa introducendo una cavalcata che salterà ostacoli strumentali degni del miglior noise-rock interrompendosi avvolto dalle jam minimaliste di Liebezeit e Czuckay. Si prosegue sui toni molesti e disturbati di "Mushroom", che presenta un testo alienato e psicopatico nel tipico stile Can, il ritmo cervellotico e la finta disperazione di Damo Suzuki danno spettacolo a una musica razionalmente inconcepibile, che vede la follia di cinque freak in acido scaraventarsi contro un muro sonoro sovversivo e impenetrabile. Musicalmente, i protagonisti sono soprattutto Schmidt, tastierista molto sottovalutato all'epoca, pronto a creare suoni contorti, e Jaki Liebezeit, il cui drumming impeccabile quasi non si distingue da una drum machine. Rombi di tuono precedono il ritmo incalzante di "Oh Yeah": brano contorto tra le ammalianti combinazioni di Karoli e il cantato di Suzuki, che perde il controllo pronunciando parole assenti da qualunque dizionario. La lucidità è ormai persa, e la nichilista visione del mondo dei Can riesce ad attraversare una fenditura apparentemente invalicabile entrando in un mondo di deliri distante anni luce dal nostro. Il ritmo può ricordare perfino certi boogie alla Velvet Underground.
"Halleluwah" è l'assoluto capolavoro dell'album. Delirio underground? Forse: parte dal funk-rock e viaggia alla ricerca di lande sonore inesplorate, intersecate tra i suoni tribali sprigionati da Schmidt, la tecnica mirabolante di Karoli, il basso sghembo di Czuckay e il drumming virtuoso di Jaki Liebezeit, che con questa performance si conferma uno dei più grandi batteristi di sempre. Quasi indescrivibile questa “Halleluwah”, che si mostra a momenti lucida, a momenti sfocata, di una magnificenza tale da potere essere quasi paragonata ai grandi capolavori della classica. È probabile che sia il culmine batteristico della musica, la batteria infatti sembra essere suonata da quattro “mostri” dello strumento contemporaneamente, e invece basta solamente un camaleontico Jaki Liebezeit a riproporre il tutto, con il suo inconfondibile stile, che trova il suo apice proprio in questa composizione. Straordinarie anche le dissonanze alla Cale di Karoli al violino, che qualche secondo dopo la performance, poserà per imbracciare nuovamente la chitarra.
Le euforiche ed infernali trovate artistiche del brano, dal ritmo irresistibile, attraversano anche una apocalittica scalata verso un nirvana musicale che i musicisti trovano e gestiscono lucidamente trasportando l’ascoltatore pian piano verso la fine (in fade out) della composizione.
Quindi, è la volta di "Augmn", un ipnotico viaggio all'interno della mente umana, dai suoni sempre più arditi ed ipnotici, fondato su rumori epilettici, e, a chiudere, un assolo stralunato e tecnicissimo di Liebezeit, contornato dal sibilo stridente delle tastiere.
Dopo una serie di suoni strani, ad accoglierci è una stridente atmosfera all’insegna di strumenti a corde , che verrà neutralizzata da dissonanze geometriche partorite dal magico violino di Karoli e dalle frenetiche ed agghiaccianti soluzioni dei Can che ci trasportano all’interno di una caverna ove giacciono disperazione e dolore, paura e rassegnazione, vaneggiamento e disseminazione cerebrale che traspaiono attraverso le follìe strumentali dei cinque in un brano dalla tensione spasmodica.
"Peking O" è un’altra piccola stravaganza musicale assolutamente impossibile da descrivere, ritenuta dai Residents e dai Negativland la miglior canzone di tutti i tempi, non a caso avrà una forte influenza su di essi.
La drum machine programmata da Liebezeit, i collage musicali, gli assurdi inserti noise, le inspiegabili polifonie strumentali fanno da specchio lo squilibrio della band sulla società malata che non riescono ad accettare; infatti, grazie al potere della loro peculiare ed “assoluta” musica, loro entreranno in un’altra società da loro carpita, una società all’insegna dell’anarchia, della lussuria, della libertà, della sfrontatezza, del caos, dell’estasi, dell’amicizia, dell’allucinazione. In una parola: della purezza.
Gran finale con la bizzarra "Bring Me Coffee or Tea", accompagnata dal drumming free-jazz di Jaki Liebezeit e dai toni orientaleggianti delle chitarre di Karoli, che si ripeteranno qualche mese dopo nell'unico successo commerciale della band: il brano "Spoon".
Carissimi, è un album da avere, magari l'impatto è un po' duro ma è un'opera che non smette mai di dire la sua. EVERGREEN sempre attuale!!
3 Comments:
Bella Lore!!!!
in effetti troppo lungo..
Bravo Gigi, ogni tanto scovi qualche bella chicca....
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